Quincy Jones e la Disco Music: è la fine di un’epoca?

da Giuseppina Brandonisio

Appresa la notizia della morte di Quincy Jones (avvenuta il 3 novembre del 2024), mi sono interrogata su ciò che resta oggi della Black Music e, in particolare, di quel periodo di grande aggregazione giovanile  che furappresentato dalla musica disco. Naturalmente, il grande trombettista, compositore, arrangiatore e produttore musicale è da ricordare per la sua estesa versatilità musicale, i crossroads,  gli innumerevoli artisti che ha portato al successo e il paragone che sto per fare tra il “vecchio” e il “nuovo” della musica nera potrebbe forse sembrare da “boomer” o troppo passatista, se affermo che di quella ricchezza musicale, che era alla portata di tutti all’epoca, attualmente sia rimasto poco o nulla, almeno nelle sue ultime derivazioni Hip Hop e Rap, deflagrate e annullate completamente dalla trap music.

Eppure, anche all’epoca degli Chic, perfino la disco music era considerata di scarsa qualità, utile soltanto per ballare, con le sue formule fisse e ripetitive, più o meno com’è per la trap oggi.
Il talento e la creatività Quincy Jones hanno impresso nella musica nera di largo consumo – la più commerciale di tutte negli Anni Settanta – una ricchezza che non sfugge agli orecchi piùattenti: buona parte dei giovani di oggi, probabilmente, non ne avranno neanche sentito parlare, mentre, i vecchi, che hanno calpestato le piste da ballo indossando jeans a zampa d’elefante e camicie floreali, forse ignorano che Mr Jones è stato uno degli innovatori della disco music, dato  che proprio in questo genere, così banale, commerciale, sempre molto uguale e riconoscibile, aveva introdotto la versatilità ritmica e melodica del jazz, l’impronta “black”e identitaria, che va da Diana Ross a Micheal Jackson e i suoi epigoni, il canto “soul” e gli echi funk o latinoamericani che non troviamo nel versante “bianco” della musica da discoteca, esplosa anch’essa come fenomeno commerciale e mondiale grazie a John Travolta e la sua Febbre del sabato sera, praticamente nello stesso periodo.


Va ricordato che anche Quincy Jones aveva lavorato per il cinema: Tra i film di cui ha scritto la colonna sonora ricordo con particolare emozione e piacere La calda notte dell’ispettore Tibbs, che mi permise di approcciare per la prima volta l’opera di questo fantastico musicista jazz e direttore d’orchestra. Ma nel 1978, esattamente a un anno dall’uscita della pellicola che ebbe come protagonista l’iconica figura di Tony Manero, Quincy Jones firmò (con Smalls) la colonna sonora di The Wiz, un film ispirato alla storia del Mago di Oz, ma ambientato a New York, che vede Diana Ross nei panni di Dorothy e Micheal Jackson in quelli dello Spaventapasseri. I’m Magic (The Wiz) è ricordato per essere stato il musical più costoso della storia del cinema di Broadway nei ‘70’s, un prodotto cinematografico che colpì l’immaginario dei “disco boys”, permise a Quincy Jones e Micheal Jackson d’incontrarsi per la prima volta, creò le premesse per la costruzione di Off The Wall, il
primo album di Micheal Jackson da solista a essere prodotto da Quincy (il quinto album in studio del Jacko) che vede Micheal, per la prima volta senza i Jackson Five e nelle vesti di cantante e autore, spaziare dall’ R&B, al funky, alla disco music fino al pop di cui è il re in assoluto. Di Off The Wall a svettare nelle classifiche mondiali e in quella Hot 100 di Billboard sono ben quattro singoli: Don’t Stop Til You Get Enough (vincitore anche di un Grammy Award per il miglior interprete R&B maschile), Rock With You, Off the Wall e She’s Out of My Life. Un successo che Micheal Jackson bisserà con l’album Thriller, sempre prodotto da Quincy Jones (il terzo e ultimo album di Micheal Jackson prodotto da Jones sarà Bad), quando la disco music incontrerà l’iconografia del pop degli Anni Ottanta, grazie soprattutto al celeberrimo videoclip della canzone omonima firmato dal regista John Landis nel 1983. Anche Give Me The Night, successo di George Benson (1980) fu prodotto da Quincy Jones, ma la vera epopea musicale per lui arriva grazie al lavoro con gli Chic che mescolano sapientemente la soul music coi ritmi della disco grazie a brani indimenticabili (per chi li ha vissuti) come Le Freak e Good Time, che hanno fatto anche la fortuna di Bernard Edwards (il bassista) e Nile Rogers (il chitarrista), diventati produttori a loro volta, ben ancorati nel solco della tradizione dance, senza tuttavia riuscire a passare il testimone alle nuove generazioni, che considerano la disco music un’antenata diretta dell’hip Hop, mentre “la disco”, così come la conosciamo oggi noi in Italia passa attraverso il genio compositivo di autori come Moroder, per traslare nella dance pop più recente e successi mondiali come Italodisco dei The Kolors. Ma questa è un’altra tradizione musicale, che si richiama all’unione tra elettronica e melodia nostrana e che, con la black disco, almeno oggi, non ha nulla a che vedere. Forse è vero che con la morte di Quincy Jones muore anche la disco più colta e raffinata.

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